di 30 magazine
Ecco le spendide parole sui 30 anni di un' Oriana Fallaci ancora giovane, rivoluzionaria, ribelle e lontana da certe idee intolleranti che hanno caratterizzato l'ultima parte della sua carriera.
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Foto di Laura Montorio |
« Io
mi diverto ad avere trent'anni, io me li bevo come un liquore i
trent'anni: non li appassisco in una precoce vecchiaia ciclostilata su
carta carbone. Ascoltami, Cernam, White, Bean, Armstrong, Gordon, Chaffee: sono
stupendi i trent'anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i
trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi,
ribelli, fuorilegge, perchè è finita l'angoscia dell'attesa, non è
incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente,
a trent'anni!
Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se
siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi
senza vergogna. E non temiamo le beffe dei ragazzi perché anche noi
siamo giovani, non temiamo i rimproveri degli adulti perchè anche noi
siamo adulti. Non temiamo il peccato perché abbiamo capito che il
peccato è un punto di vista, non temiamo la disubbidienza perché abbiamo
scoperto che la disubbidienza è nobile. Non temiamo la punizione perché
abbiamo concluso che non c'è nulla di male ad amarci se ci incontriamo,
ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la
maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell'olio santo.
Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi. Siamo
un campo di grano maturo, a trent'anni, non più acerbi e non ancora
secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita. È
viva ogni nostra gioia, è viva ogni nostra pena, si ride e si piange
come non ci riuscirà mai più, si pensa e si capisce come non ci riuscirà
mai più. Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è
chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui
scenderemo. Un po' ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di
sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla
nostra fortuna: e allora com'è che in voi non è così? Com'è che sembrate
i miei padri schiacciati di paure, di tedio, di calvizie? Ma cosa
v'hanno fatto, cosa vi siete fatti? A quale prezzo pagate la Luna? La
Luna costa cara, lo so. Costa cara a ciascuno di noi: ma nessun prezzo
vale quel campo di grano, nessun prezzo vale quella cima di monte. Se lo
valesse, sarebbe inutile andar sulla Luna: tanto varrebbe restarcene
qui. Svegliatevi dunque, smettetela d'essere così razionali,
ubbidienti, rugosi! Smettetela di perder capelli, di intristire nella
vostra uguaglianza! Stracciatela la carta carbone. Ridete, piangete,
sbagliate. Prendetelo a pugni quel Burocrate che guarda il
cronometro. Ve lo dico con umilità, con affetto, perché vi stimo, perché
vi vedo migliori di me e vorrei che foste molto migliori di me. Molto:
non così poco. O è ormai troppo tardi? O il Sistema vi ha già piegato,
inghiottito? Sì, dev'esser così».
[Da Se il sole muore, Rizzoli 1965. Edizione Bur 1989, pagg. 388-389]
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