di Manuel De Teffè
AGLI UOMINI ITALIANI DAI 40 AGLI 80 ANNI E ALLA LORO SOPITA CAPACITA’ DI FARSI MENTORI.
Se l’Italia è una società feudale, dove anche la più insignificante
delle strutture diventa nel tempo un feudo impenetrabile, dove ogni logo
è bunker autoreferenziale, e nessun buon progetto può avviarsi senza
santi in paradiso, l’uomo che debutta in società dopo la parentesi
liceale, non sa ancora che il proprio paese non vorrà aver niente a che
vedere con lui, e inizierà a muovere i primi passi in quello che si
manifesterà a un certo punto come un mostruoso orfanotrofio sconfinato
poiché privo di quella figura essenziale che appare dal nulla quando
ogni giovane, ormai pronto per l’incontro, ha bisogno di una propulsione
nuova e sconosciuta per prendere definitivamente il largo: sto parlando
del mentore, e adesso accennerò al primo che conobbi.
Le
modalità secondo le quali un uomo inizia ad assolvere al proprio e
ineluttabile ruolo di mentore sono sempre le stesse: è cercato da un
giovane che lo avvicina e lo elegge a mentore, cerca lui stesso un
giovane perché deve tramandare una certa conoscienza, è già accanto al
giovane da molto tempo ed esercita tale funzione automaticamente, senza
che nessuno dei due se ne renda conto.
Il mio primo mentore rientra
nella terza categoria, non l’ho cercato, era già accanto a me: il mio
professore di Disegno al liceo romano Pio IX, Mario Salvatori,
buon’anima. Quando avevo 18 anni e il prof. Salvatori entrava in classe,
io non vedevo un professore ma percepivo un uomo. Mario era l’essenza
dell’insegnamento stesso emanata da un signore settantenne stazza un
metro e 90 e assorbita da noi per osmosi. L’uomo era vedovo, un figlio
disabile a casa, una scatola di mentine in tasca e un barboncino al
guinzaglio; un lord senza tempo che ci insegnava tutto ciò che sapeva:
nelle sue classi, anche gli oggettivamente inetti toccavano
considerevoli cime artistiche …Come diceva a chi avanzava la scusa del
“Non ho la mano”…:” “Tesoro bello manico d’ombrello, non è la mano che
disegna, ma il cervello”.
Sotto il suo sguardo, crescevamo come in una
serra, protetti, rigogliosi, stimati. E non dimenticherò mai quelle due
settimane in cui, tornato dalla Svezia dopo la maturità, mi armò fino ai
denti per l’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti, munendomi
persino di ordigni intellettuali non convenzionali.
Twist in the plot: l’influenza del mentore può essere
scientificamente provata dalla fisica quantistica, che ridotta in
soldoni ci dice: “L’osservatore influenza l’osservato”. Per non far
prendere a questo mio articolo fuorvianti e basse pieghe sentimentali,
vi dirò che ciò che avviene a livello molecolare è interessantissimo:
quando osservate, le particelle subatomiche sono influenzate a livello
comportamentale, non modificate, influenzate.
Adesso, esistono tre tipologie di paternità in grado di influenzare
l’arco della nostra vita, 3 tipi di padri.
C’è il padre fisico, quello
di nascita, che nel tempo scopri essere ottenebrato dal raggiungimento
di una stabilità economica continua; il padre spirituale, come prete,
che nel tempo scopri difficile da avvicinare perché si sta preparando
sempre una predica migliore da fare e ha bisogno di scrivere in pace; e
l’uomo che entrati in società si deve conoscere per una necessaria
crescita umano-professionale, il padre mentore, il genitore tecnico che
ti avvia verso la moltiplicazione dei tuoi talenti e finisce col
determinare definitivamente la tua fioritura d’uomo.
Quest’ultima forma
di paternità, a causa dell’assenza di una economia di relazione
derivante da una società che non è riuscita a sfeudalizzarsi, esiste in
Italia in modo del tutto trascurabile.
La figura del mentore si sviluppa infatti nella misura in cui una
società si muove dinamicamente in un’economia di relazione. E L’economia
di relazione è quell’atteggiamento che scaturisce dalla consapevolezza
che conoscere lo sconosciuto che hai davanti può essere un
arricchimento.
Consapevolezza che stenta a realizzarsi in una società
come l’Italia, storicamente feudale perchè chiusa in una pletora di
compartimenti stagni non comunicanti, tutti privi di una “Single
window”, porta d’accesso chiara e visibile che determina il contatto
immediato di chi vuole proporre qualcosa a.
La
cinematografia americana ci fornisce una quantità pressocchè infinita
di mentori, da Obi-Wan Kenobi che alleva Luke Skywalker in Star Wars, a
Mickey Goldmile che allena lo Stallone italiano in Rocky; da Gordon
Gekko che istruisce il giovane Jake in Wall Street 2 a Robin Williams
che forma i suoi studenti in “Dead poets society”.
Badate bene ai verbi
usati: alleva, allena, istruisce, forma. Una società, quella americana,
che nonostante i difetti grossolani sotto gli occhi di tutti è sanissima
a livello di ricambio generazionale. C’è sempre un vecchio che si nutre
della vitalità energetica di un giovane e un giovane che matura accanto
all’esperienza donata di un anziano who brings him to the next
level…Nessuno può sopravvivere senza l’altro, ognuno, seppur
diversamente, è la linfa vitale dell’altro.
Per esemplificare l’atteggiamento di un mancato mentore italiano,
ascoltate cosa diceva il grande direttore della fotografia Tonino Delli
Colli al suo imberbe assistente Mario Brega: “Io non ti dirò nulla. Dovrai rubarmi tutto con gli occhi”.
Bello, vero? Un immenso professionista con ridotte capacità di mentore
e un allievo che ha dovuto saccheggiare perchè non poteva domandare.
Caso isolato? No. La generalizzazione di questo atteggiamento ha portato
alla non nascita di una vera industria cinematografica italiana: non
abbiamo un’industria, abbiamo gente che gira cose scambiandosi gli
attori.
All’inizio di Rocky, Stallone sbarca il lunario come picchiatore,
perchè l’uomo al quale dieci anni prima aveva chiesto di allenarlo aveva
rifiutato. Una volta arrivata l’occasione dell’incontro con Apollo, è
lo stesso allenatore che cercherà Rocky per poterlo allenare. Morale: Lo
Stallone italiano diventa Rocky sotto la guida di Mickey, e Mickey
conquisterà il suo unico titolo mondiale con Rocky, una mutua
realizzazione umana e professionale.
Qualche anno fa, sotto la pioggia di NY, sorseggiando un acquoso
caffè americano su un trespolo del supermercato accanto alla mia
lavanderia preferita di Harlem, ho calcolato esserci un gap di esatti 10
anni tra la realizzazione di un uomo americano e quella di un uomo
italiano. Perchè da noi ognuno è il mentore di sé stesso. Ora, quando un
elettrone cambia orbita, c’è un rilascio di energia.
Allo stesso modo,
quando un mentore aiuta un giovane a passare su un altro livello, c’è lo
stesso rilascio di energia, quell’energia che mette in moto l’economia
di un paese. Senza un mentore, un giovane necessiterà dunque di molto
più tempo per passare su un altro livello e quando rilascerà
quell’energia, perché la rilascerà, l’energià sarà di qualità inferiore,
vuoi per la stanchezza, vuoi per il tempo.
Quanto scrivo è scritto per gli uomini italiani dai 40 agli 80 anni,
ma anche per le donne, perchè leggendo queste righe possano
immediatamente farsi mentori di qualcuno.
Cercasi mentori italiani: quando un elettrone cambia orbita c’è un rilascio di energia.
Rilascio di energia. Uscendo dall’orbita.
CERCASI 12 MILIONI DI MENTORI PER UN IMMENSO RILASCIO DI ENERGIA ITALIANA.
Manuel de Teffé
mdeteffe@me.com
http://manueldeteffe.com/
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